mercoledì 5 marzo 2014

“Cronaca dannata”, la vis comica secondo Marco Pomar



Credete che la leggerezza sia innocua? Vi sbagliate. Può essere più affilata di un coltello, come mostra “Cronaca dannata”, l’ultima opera di Marco Pomar che trova in Dario Corallo (che firma le illustrazioni) e in Mimmo Calabrò (autore dei fotomontaggi) i migliori complici per questa lotta ironicamente spietata contro stupidità e doppiezza. Nel raccontare il biennio a dir poco convulso tra il novembre 2011 e l’ottobre 2013, l’autore dimostra due dati con una lucidità che farebbe impallidire Cartesio: la certezza di vivere nel Paese più assurdo del mondo (casomai qualche anima pia nutrisse ancora dubbi in proposito) e le possibilità inesauribili del linguaggio comico. Che si tratti di politica, gossip o economia, il ritmo narrativo di Pomar non viene meno, sia che ricorra alla frase ad effetto, sia che si affidi alla parodia di notissimi brani musicali o a scambi di battute che sembrano copioni teatrali in piena regola, per tacere del ricorso a registri che spiazzano (lo stile da editto medievale per celebrare la leaderhip di Marina Berlusconi, per esempio). La frase lapidaria asseconda il gusto della dissacrazione e ben si addice alla realtà fotografata da “Cronaca dannata”: frammentaria, incongrua, paradossale. Pomar prende le distanze da una critica moralistica come da un umorismo teso solo a sorprendere. La comicità di queste pagine ribalta la notizia attraverso uno spregiudicato senso del gioco che contrappone alla presunta chiarezza dell’avvenimento la fertile ambiguità delle parole. Quel che viene riportato esplode dunque dall’interno, perché il suo punto di forza o comunque la sua peculiarità diventa occasione per farlo a pezzi attraverso una risemantizzazione che rismescoli di continuo le carte a dispetto di una visione univoca. La scrittura di questo volume è liberatoria, non soltanto per il divertimento che assicura: rivela come non ci sia maschera o convinzione o sistema che possa resistere a lungo. Spetta allora al sarcasmo fungere da antidoto a quell’inquietante anagramma che è la vita.

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