giovedì 1 ottobre 2015

“XXI Secolo”, amore e dissoluzione



Storie dall’impianto narrativo solo apparentemente semplice sono spesso destinate ad abitare a lungo la mente di chi le legge. È il caso di “XXI Secolo” di Paolo Zardi. Mentre miseria e violenza divorano tutto, il coma in cui cade la moglie del protagonista lo costringe a riconsiderare tutto ciò che ha vissuto. All’interno di un percorso creativo che ha il suo epicentro nel momento in cui le maschere crollano, l’autore si misura in modo ancora più ambizioso che in passato col doloroso momento della dissoluzione e con gli echi che essa lascia in chi la vive. Raccontare la disperazione espone al rischio dell’enfasi, ma la scrittura di Zardi è felicemente immune da questo pericolo. Anche quando si inoltra in analisi che sgomentano per la profondità di quel che cercano e rivelano ("XXI Secolo" non è un libro da comodino, i lettori passivi possono tranquillamente dedicarsi ad altro), lo stile possiede una concretezza ruvida e tagliente che abbatte qualunque diaframma tra chi legge e ciò che viene letto: lo si avverte nella propria carne. Attraverso sotterranee analogie il momento della crisi sembra dilatarsi all’infinito. Eleonore soggiace a un’insidia che nasce dal proprio corpo come l’Occidente ha nella propria rapacità il germe del suo male. Il protagonista che vende apparecchi per depurare l’acqua porta a porta vuole diffondere linfa vitale nel corpo come desidera che gli affetti restino vivi e protetti nel tessuto dei giorni. Mentre però l’Occidente è sepolto nel fallimento e dunque la sua immobilità è percepita come inaggirabile, quella di Eleonore manda in pezzi ciò che era considerato saldo e al riparo da pericolosi mutamenti. La sua è un’immobilità antifrastica, che allude al proprio opposto, mostrando la fluidità, l’incostanza, l’imprevedibilità di tutto quello che coinvolge un’anima.
La voce narrante è coerente con l’ampiezza del disegno. Ne "Il signor Bovary" l’immedesimazione nella figura principale (altalenante e ambigua come tutti i bisogni umani) era motivata da un redde rationem legato a quanto di più intimo si possa concepire, il desiderio, e nasceva soprattutto da un approcio problematico con la scrittura, che è rivelazione mai salvifica del disagio. In "XXI Secolo" la resa dei conti ha assunto dimensioni planetarie, dato che l’Occidente ha sempre preteso di essere l’ombelico del mondo e la ricerca di senso diviene così pressante che si impone un tipo di narrazione capace di abbracciare il singolo e la collettività. Si moltiplica lo sguardo, dunque, perché si moltiplicano i naufragi.
Zardi è stato sempre affascinato dal concetto di limite perché in esso, come in una consustanziazione laica, si attua in pieno la natura umana. Il limite gravoso che qui viene continuamanete riproposto è quello di una logica soffocata dai suoi stessi tentativi di individuare, rivelare, decifrare. Anche il rapporto con l’informazione -la vicenda del fantino vittima di un incidente, le notizie dal mondo- conduce su una falsa pista, perchè quella che vorrebbe essere un’ottica multipla, in grado di cogliere a ogni livello la complessità, è in realtà la messinscena di qualcosa di cui si è persa la ragione ultima.
L’Occidente collassa perché su di esso si accartoccia il suo limite, che è pretesa di imporre un’omologazione del pensiero e del comportamento, ma pretendere che i rapporti siano traducibili in chiare equazioni, in un sistema di causa ed effetto non conduce da nessuna parte. Non si può ingabbiare un magma di sensazioni in una categoria. Ecco allora che al limite inteso come superbia di ridurre il mondo a se stessi se ne contrappone un altro, accolto a fatica e con disperata fiducia, che dalla coscienza della propria fragilità fa germogliare la possibilità di riscrivere la propria storia. Quel che confina in una condizione può divenire un varco per aprire su quella stessa condizione occhi nuovi e riviverla al di fuori di parametri soffocanti. Zardi non regala mai facili approdi o scorciatoie consolatorie. Non sappiamo se l’amore sarà una via d’uscita. Possiamo solo comprendere che quello che ci sottrae alla barbarie scaturisce da quelle stesse viscere che ci spingono verso il baratro.

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